Intervento presentato l’ 8 ottobre in occasione del convegno nazionale AGI (avvocati giuslavoristi italiani) a cura dell’Avvocato Emanuele Carniello del foro di Padova.

Agenzie investigative e controlli del lavoratore: profili di legittimità

Intervento dell’ Avv. Emanuele Carniello – Convegno AGI – Bari, 8 ottobre 2010 

Premessa
Il tema del congresso ben si coniuga con gli aspetti che sono oggetto di trattazione di questo breve intervento. L’utilizzo delle agenzie investigative è un tema che si colloca tra le modalità con le quali si esplica il potere di controllo del datore di lavoro e deve contemperarsi con il correlativo diritto alla tutela della persona del dipendente. Il presente intervento si pone l’obiettivo di fare chiarezza sul discusso tema della legittimità degli incarichi assegnati dal datore di lavoro alle agenzie investigative, e segnatamente agli agenti investigativi, allo scopo di effettuare controlli sul grado di “lealtà” del dipendente. 

In buona sostanza, le domande alle quali si vuole dare un riscontro sono due:

  1. se e quando sia lecito per datore di lavoro utilizzare agenzie investigative per eseguire controlli sull’operato dei lavoratori
  2. se le relazioni consegnate dalle agenzie investigative si possano allegare nei giudizi relativi alle impugnazioni delle sanzioni disciplinari: esempio classico il licenziamento per giusta causa.
1. Se e quando sia lecito per datore di lavoro utilizzare agenzie investigative per eseguire controlli sull’operato dei lavoratori

Come tutti voi sapete, l’argomento dei controlli sul lavoratore è molto delicato e dibattuto. Molte volte il confine tra il lecito e l’illecito è ben visibile, altre così non è. 

E questo crea un equivoco ed una diffidenza di fondo: molte volte il datore di lavoro vede con un certo sospetto le indagini svolte dalle agenzie investigative perché tende a includerle tra quelle vietate dalla normativa. Per chiarire questo equivoco occorre un breve cenno su quali siano le norme di riferimento che delimitano il potere direttivo e di controllo. 

Il datore di lavoro ha il potere / dovere di controllare l’attività del dipendente sia in riferimento all’attività lavorativa che alla salvaguardia del patrimonio aziendale. 

Questo gli è consentito quale capo dell’impresa (art. 2086 del c.c.) e titolare del predetto potere (art. 2104, 2° comma, c.c.) e si estrinseca nella facoltà di impartire disposizioni al lavoratore per la corretta esecuzione dell’obbligazione e la disciplina del lavoro nonché, più in generale, sull’esatto adempimento dell’obbligazione lavorativa. 

Il potere di controllo è una delle modalità con le quali si realizza il potere direttivo. Non si tratta solo di impartire disposizioni, ma più in generale, di controllare l’esatto adempimento dell’obbligazione di lavoro anche con riferimento alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione e di tutelare la proprietà aziendale contro eventuali furti o danni. 

Si tratta, tuttavia, di un campo nel quale si contrappongono interessi diversi: da un lato quello del datore di lavoro di poter verificare la puntualità dell’adempimento e di salvaguardare l’apparato strumentale mediante il quale il lavoro viene reso e, dall’altro, i valori di riservatezza, libertà e dignità del lavoratore. 

Il potere di controllo del datore di lavoro è riconosciuto e tuttora regolato nel titolo primo dello Statuto dei Lavoratori che legittima, peraltro, non solo il controllo avente ad oggetto la prestazione lavorativa in sé considerata, ma ammette anche un potere di controllo che è stato chiamato para od extra contrattuale in quanto privo di connessione diretta e immediata con l’obbligazione di lavorare. 

Quando facciamo riferimento allo Statuto dei Lavoratori, l’attenzione va immediatamente agli articoli dello stesso che regolamentano il divieto di utilizzare, a scopo di vigilanza, guardie giurate (art. 2) e personale occulto (art. 3), nonché il divieto di uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza (art. 4). 

Nella pratica quotidiana, e qui sta l’equivoco, accade che l’imprenditore tenda a considerare molto ristretto il campo del suo potere di controllo, ovvero quale sia il confine tra quello che può e non può fare, fino a dove si può spingere. Ovviamente non è così, il campo non è affatto ristretto. Ce lo conferma la Suprema Corte con una pluralità di pronunce, recenti ed anche meno.

L’esame del tema specifico contenuto nella prima domanda che ci siamo posti, ovvero se sia lecito per datore di lavoro avvalersi dell’ausilio di agenzie investigative al fine di verificare ed accertare il corretto operato dei lavoratori dipendenti, si rileva come la Corte di Cassazione si sia espressa a più riprese nel senso di legittimare il controllo anche occulto del datore di lavoro, realizzato mediante agenzie investigative, purché destinato ad individuare comportamenti illeciti esulanti la normale attività, ancorché posti in essere nei luoghi di lavoro e durante l’orario di lavoro, quali, ad esempio, episodi di attività lavorativa per terzi concorrenti o di appropriazione, ammanchi di denaro, utilizzo indebito dell’istituto della malattia, dell’infortunio, false attestazioni per gonfiare i rimborsi spese, utilizzo indebito dei permessi sindacali e via dicendo. 

Le pronunce sono orientate nel senso di legittimare i controlli effettuali a mezzo delle agenzie investigative, purché finalizzati ad individuare illeciti e non ad indagare sul corretto adempimento della prestazione lavorativa perché, in quest’ultimo caso, saremmo nel campo delle attività vietate o regolamentate dallo Statuto. 

Sul punto si segnalano la: 

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 25 gennaio 1992, n. 829 
“Le norme poste dagli art. 2 e 3, l. 20 maggio 1970, n. 300 a tutela della libertà e dignità del lavoratore, …, non escludono il potere dell’imprenditore, ai sensi degli art. 2086 e 2104 c. c., di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente dalle modalità del controllo, che può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all’art. 4, stessa l. n. 300 del 1970, riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza (non applicabile analogicamente, siccome penalmente sanzionato); sono pertanto legittimi, in quanto estranei alle previsioni delle suddette norme, i controlli posti in essere da dipendenti di un’agenzia investigativa i quali, operando come normali clienti e non esercitando potere alcuno di vigilanza e di controllo, verifichino l’eventuale appropriazione di denaro (ammanchi di cassa) da parte del personale addetto, limitandosi a presentare alla cassa la merce acquistata, a pagare il relativo prezzo e a constatare la registrazione della somma incassata da parte del cassiere. 

L’identico principio di diritto è enunciato anche nella pronuncia 
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 23 agosto 1996, n. 7776

In fondo, il ragionamento che vi sottosta è molto semplice: chi si appropria di beni aziendali, chi sottrae denaro dalla cassa di una banca o di un supermercato, chi lavora per terzi mentre fruisce della cassa integrazione, chi utilizza internet, la posta elettronica o il telefono per scopi personali e vietati, sta compiendo un illecito che fuoriesce dallo specchio precettivo e dalle limitazioni delle norme del titolo I dello Statuto.

Riassumendo, in tema di vigilanza sui lavoratori la giurisprudenza della Suprema Corte si è da tempo orientata nel senso di distinguere il controllo sulla normale attività lavorativa dal controllo sull’attività del dipendente che esula da quella ordinaria.

La distinzione che viene fatta è tale da consentire al datore di lavoro una maggiore libertà ell’accertamento (e nella repressione) di comportamenti dei lavoratori che costituiscono di per sé atti illeciti anche se, ovviamente, compiuti in occasione o in collegamento con la prestazione lavorativa. 

Chiariti questi concetti appare anche la soluzione dell’equivoco di cui si parlava poc’anzi. 

Il datore di lavoro può incaricare agenzie investigative quando intenda verificare il comportamento sospetto del dipendente, con esclusione di qualsiasi controllo, se non regolamentato, sullo svolgimento concreto della prestazione

Nel caso il datore di lavoro decida di ricorrere all’utilizzo delle agenzie investigative, deve essere individuato il diritto violato. 

Ed è per questi motivi che alle agenzie investigative nemmeno possono essere affidati incarichi aventi ad oggetto i controlli descritti nello Statuto dei Lavoratori. 

Non possono essere affidate indagini investigative sui dipendenti se non vi è un diritto da esercitare o da difendere in sede giudiziale. 

Anzi, debbono ricevere un incarico specifico che menzioni per iscritto quale sia questo diritto. A tal proposito, si evidenzia l’esistenza di un codice di deontologia e di buona condotta da seguire nello svolgimento di investigazioni che è stato adottato il 6.11.2008, con il provvedimento n. 60 del Garante per la protezione dei dati personali, e ciò a seguito della entrata in vigore della legge 7 dicembre 2000, n. 397, lo svolgimento delle investigazioni difensive. 

Al primo quesito, per quanto detto, non può che fornirsi una risposta positiva. 

2. il secondo quesito è se le relazioni consegnate dalle agenzie investigative si possano allegare nei giudizi relativi alle impugnazioni delle sanzioni disciplinari: esempio classico il licenziamento per giusta causa.

Il datore di lavoro che si avvale dell’operato dell’agenzia investigativa per l’accertamento della commissione di fatti illeciti da parte del dipendente ha, nello specifico, un vero e proprio diritto alla prova, finalizzata alla tutela di un proprio diritto che assume violato dal dipendente infedele. 

Teorizzato il diritto alla prova, la risposta al secondo quesito non può che ricavarsi dall’esame dell’esperienza giurisprudenziale. 

La giurisprudenza di legittimità, come visto, ritiene ammissibili, perché estranei alle previsioni degli articoli dello Statuto, gli accertamenti, anche occulti, operati dal datore di lavoro attraverso l’utilizzo di agenzie investigative anche durante l’orario di lavoro. 

Le decisioni giurisprudenziali si riferiscono pressoché esclusivamente ad ipotesi di ricorso ad agenzie investigative che possono dunque effettuare controlli occulti per conto del datore di lavoro per assumere prove o riscontri sul comportamento del lavoratore che viene sorpreso a compiere illeciti (e dunque non lavora). 

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 3 novembre 1997, n. 10761, “non può contestarsi la legittimità dei controlli posti in essere da dipendenti di un’agenzia investigativa i quali, operando come normali clienti di un esercizio commerciale e limitandosi a presentare alla cassa la merce acquistata e a pagare il relativo prezzo, verifichino la mancata registrazione della vendita e l’appropriazione della somma incassata da parte dell’addetto alla cassa”. 

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 12 giugno 2002, n. 8388, “Sono pertanto legittimi, in quanto estranei alle previsioni delle suddette norme, gli accertamenti operati dall’imprenditore attraverso agenti investigatori incaricati di controllare, durante l’orario di lavoro, se il dipendente aveva omesso di registrare gli acquisti fatti dai clienti di un supermercato e di rilasciare lo scontrino fiscale”. 

Nel solco della interpretazione da ultimo data alla legittimità dei controlli sul dipendente operati da un’agenzia investigativa a tal fine incaricata dal datore di lavoro si è ripetutamente mossa La Suprema Corte. E ciò con una costanza di orientamento che oramai può ritenersi consolidato e che induce a ritenere del tutto ammissibili nel procedimento civile le risultanze raccolte dalle predette agenzie. Risultanze che, in sede di deposizione testimoniale, dovranno poi trovare puntuale conferma da parte della persona fisica del’investigatore che si è occupato del caso concreto allorquando sarà sentito quale informatore e/o testimone dal Giudice del Lavoro. 

La Corte è intervenuta anche a porre dei paletti in ordine alle modalità concrete che l’agenzia investigativa deve seguire, e per essa l’investigatore incaricato. 

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 9 luglio 2008, n. 18821, che ripercorre e ribadisce lo stesso principio di diritto ed aggiunge che “Secondo tale orientamento, condiviso da questo collegio e al quale si è richiamata anche la sentenza impugnata, l’attivazione di tali tipi di controlli, in particolare attraverso agenzie di investigazione (cd. controlli occulti), non presuppongono necessariamente illeciti già commessi, come pure sostenuto in passato da una parte della dottrina che si è occupata della sistemazione giuridica del fenomeno, ma anche il sospetto(nascente dal rilievo delle ed. differenze inventariali, cui deve ritenersi del resto aver fatto riferimento anche la società, quando ha parlato, sia pure impropriamente, di “attività di controllo antitaccheggio”) o anche la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione. Ciò che appare viceversa essenziale per la legittimità di tali tipi di controllo, oltre alla finalità di accertamento di illeciti a carico del patrimonio aziendale e non di meri inadempimenti contrattuali, è la necessità che il controllo si svolga secondo tecniche che richiamano quello che un qualsiasi cliente accorto pone normalmente in essere quando transita attraverso una qualunque delle casse per pagare e non si traducano in manovre dirette ad indurre in errore l’operatore. Inoltre, a tutela del diritto di difesa dell’eventuale incolpato, è necessario che la contestazione (che da parte dell’accorto cliente tipo sarebbe immediata, al rilievo, ad es., della mancata emissione dello scontrino) sia tempestiva, sia pure nei limiti segnati, nell’ipotesi considerata del controllo sul cassiere di supermercato, da due esigenze fondamentali: quella per cui l’accertamento dell’illecito può avvenire solo alla fine della giornata lavorativa del dipendente attraverso il riscontro delle giacenze di cassa e quella rappresentata dall’opportunità di non limitare l’accertamento ad un unico episodio, che potrebbe non essere sempre significativo”.

Si è ammesso definitivamente la possibilità di eseguire controlli occulti, quindi, ma non manovre finalizzate ad indurre il dipendente in errore. La verifica deve essere condotta con la finalità di accertare la condotta sleale, non quella di provocarla. 

Tra le più recenti, degna di nota è la pronuncia della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 10 luglio 2009, n. 16196, “Pur nei limiti posti dallo Statuto dei Lavoratori – legge 20 maggio 1970, n. 300 – a tutela della libertà e dignità del dipendente, il datore di lavoro può controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica o anche attraverso personale esterno (ad esempio, un’agenzia investigativa), l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente dalle modalità del controllo, che può avvenire anche in maniera occulta”.

Nel caso specifico esaminato nella sentenza appena citata, un’informatrice scientifica aveva ripetutamente prodotto false attestazioni relative al chilometraggio effettuato e, con tale truffa, ricevuto il rimborso di spese mai sostenute. Il datore di lavoro, accertato l’illecito, aveva provveduto a licenziare per giusta causa la lavoratrice, ritenendo definitivamente incrinato il rapporto fiduciario

La società era riuscita a risalire all’illegittimità di quel contegno attraverso una serie di “pedinamenti” effettuati da una agenzia investigativa privata. La Suprema Corte ha riconosciuto la legittimità del licenziamento comminato con una pronuncia che appare assolutamente condivisibile e si inserisce nel solco, largamente maggioritario, segnato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. 

Il principio di diritto è quello oramai consolidato: è, in sintesi, il riconoscimento della legittimità di tutti i controlli che mirino ad accertare eventuali illeciti commessi dal lavoratore. Deve trattarsi, in buona sostanza, di un controllo non sugli inadempimenti contrattuali, ma su eventuali illeciti che pongano in pericolo il patrimonio aziendale o siano in sé tanto gravi da giustificare una sanzione disciplinare, anche la più grave. Una volta verificato l’illecito con le dovute cautele l’agenzia investigativa redigerà e consegnerà al datore di lavoro un proprio elaborato con le conclusioni alle quali è giunta. 

E così l’illecito penale cui, in questo caso, dà luogo l’omessa prestazione lavorativa è equiparato ad altri illeciti commessi in occasione della prestazione lavorativa (ad esempio sottrazione di somme da parte del cassiere, del cameriere, del casellante autostradale), anche essi suscettibili di controllo occulto mediante investigatori privati, a volte operanti come clienti-civetta. 

L’informatrice, operando al di fuori della sede aziendale, non era assoggettabile a controlli sistematici sull’effettivo svolgimento della prestazione. E’ questa particolare difficoltà che richiama lo speciale vincolo fiduciario proprio del rapporto in esame e conferma la legittimità del licenziamento. Il contegno dell’informatrice licenziata ed il legittimo controllo difensivo sullo stesso ha fatto venire meno quel particolare rapporto fiduciario e lo ha reso irrecuperabile, anche temporaneamente, sussumendo quel fatto nel concetto di giusta causa. 

Pertanto, tirando le fila del ragionamento fin qui svolto, si deve concludere per l’ammissibilità degli incarichi conferiti ad agenzie investigative per il controllo dei dipendenti finalizzato ad accertare l’eventuale commissione di fatti illeciti nonché per l’utilizzabilità processuale di tali risultanze che saranno introdotte nel procedimento verosimilmente dapprima con dei rapporti scritti che saranno allegati nel fascicolo di parte e che poi che dovranno trovare conferma poi nella testimonianza dell’investigatore davanti al Giudice del Lavoro.

Statistiche in ordine alle attività di indagine più comuni

Alla fine di questa breve relazione, è interessante verificare come siano distribuite le varie tipologie di accertamento sui dipendenti. 

I seguenti dati sono forniti dal Centro Studi di Axerta (Osservatorio sull’investigazione Axerta Investigazioni), dalla quale si evince quali siano le materie di intervento più comuni:

  • 27% Falsa dichiarazione di malattia / infortunio
  • 23% Violazione patto di non concorrenza
  • 18% Violazione obbligo di fedeltà
  • 16% Scorretta fruizione dei permessi parentali (Legge 104/92) e sindacali
  • 9% Dichiarazioni mendaci sui rimborsi spese
  • 7% Illeciti contro il patrimonio aziendale
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