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La recente sentenza n. 1321/2025 della Corte di Cassazione ha fornito un’importante precisazione sulla distinzione tra “abbandono del posto di lavoro” e “allontanamento momentaneo”. La Corte ha stabilito che l’abbandono è configurabile solo quando vi è una chiara e volontaria rinuncia da parte del dipendente a riprendere la propria attività lavorativa, spesso accompagnata da elementi di durata o irreversibilità. Al contrario, un allontanamento temporaneo e giustificato non può essere considerato motivo di licenziamento.
Questa distinzione è cruciale per evitare fraintendimenti nelle relazioni tra aziende e dipendenti, specialmente nei casi di licenziamento per giusta causa. Confondere un allontanamento momentaneo con un abbandono vero e proprio può portare a decisioni disciplinari che, se impugnate, rischiano di essere annullate con gravi ripercussioni economiche e reputazionali per l’azienda.
Un errore nella valutazione di queste situazioni potrebbe derivare da un’insufficiente raccolta di prove o da un’interpretazione parziale delle circostanze. Per garantire una gestione corretta e conforme alle normative, è fondamentale affidarsi a chi sa raccogliere elementi probatori con competenza e nel rispetto delle regole, assicurando interventi efficaci e tutelando sia l’azienda che i diritti dei lavoratori.