Dal punto di vista giuridico si tratta di due tipologie di fatti ben differenti e addirittura contrapposti. In pratica il recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato può avvenire in due modi: o tramite il licenziamento da parte del datore di lavoro oppure tramite le dimissioni rassegnate dal lavoratore.
Dimissioni
Per dimissioni si intende l’atto unilaterale con cui il lavoratore dipendente recede dal contratto di lavoro. Sono quindi una facoltà del lavoratore e producono il loro effetto nel momento in cui ne viene data conoscenza al datore di lavoro.
L’eventuale revoca delle dimissioni non ha effetto se non viene accettata dal datore di lavoro.
Una delle conseguenze delle dimissioni è che il lavoratore che si dimette perde il diritto alla tutela reale e obbligatoria.
Talvolta le dimissioni volontarie sono incentivate dal datore di lavoro che propone un’indennità, subordinata alla firma di un verbale di accordo con il quale le parti rinunciano a ogni altra successiva rivendicazione.
Licenziamento individuale
Il licenziamento individuale è l’esercizio del diritto potestativo di recesso da parte del datore di lavoro nei confronti di un dipendente.
Per la giurisprudenza italiana il licenziamento individuale è disciplinato dall’articolo 1 della Legge 604/1966, dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e dall’articolo 2 della Legge 108/1990, e può essere intimato per giusta causa o per giustificato motivo.
Nel caso un lavoratore dipendente sia licenziato per giusta causa o giustificato motivo ha diritto alla tutela reale e obbligatoria.