È legittimo il licenziamento del lavoratore per uso improprio dei permessi L. 104/1992.
(Cass. Civ, Sez. Lav., Ord. n. 28606 del 18 ottobre 2021)
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con Ordinanza n. 28606 del 18 ottobre 2021, ha ribadito il principio secondo cui “con riguardo alla proporzionalità tra addebito e recesso [..] rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza”.
Un lavoratore, nel caso esaminato, contestava la legittimità del licenziamento intimatogli dal datore di lavoro per aver espletato attività estranea rispetto alla dovuta assistenza familiare durante uno dei giorni di permesso ex L. n. 104/1992. La Corte ha evidenziato che, nei casi in cui si riveli sottile il discrimen fra uso corretto del permesso ed esercizio abusivo, ai fini di tale valutazione è richiesta una indagine fattuale, atta a verificare in concreto se l’eventuale esercizio di altra attività possa integrare un uso legittimo del permesso.
La suddetta sentenza si focalizza sulla necessità di indagare approfonditamente il comportamento del dipendente che abusi dei permessi legati alla normativa l.n.104/1992. Gli strumenti investigativi più tradizionali quali il pedinamento, ad esempio, possono in svariate circostanze essere il mezzo più efficace al fine di documentare in modo inequivocabile comportamenti contra legem utilizzabili a difesa dell’azienda nelle opportune sedi.
Congedo per malattia: il lavoratore deve comunicare anche al datore di lavoro il cambio di indirizzo.
(Cassazione civile, Sez. lav., sentenza 25 novembre 2021, n. 36729)
La Corte di Cassazione ha chiarito che nel caso di licenziamento di un dipendente in congedo per malattia per aver questi omesso di comunicare, anche al datore di lavoro oltre che all’INPS, la variazione del proprio indirizzo di reperibilità, va applicata la tutela reintegratoria di cui al comma 4 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori laddove il CCNL applicato preveda per tale condotta – comunque ritenuta dalla Suprema Corte disciplinarmente rilevante – una sanzione conservativa.
Nel caso in questione, il dipendente aveva comunicato all’INPS, ma non al datore di lavoro, un nuovo indirizzo di reperibilità. L’Istituto, tuttavia, non avendo preso debitamente atto della comunicazione da parte del dipendente, aveva proceduto ad effettuare una visita ispettiva presso un indirizzo diverso da quello da ultimo comunicato, con conseguente esito negativo della stessa. A quel punto il datore di lavoro intimava il licenziamento per assenza ingiustificata oltre tre giorni, conteggiati dalla risultata assenza del dipendente alla visita INPS.
Gli Ermellini hanno innanzitutto ritenuto infondati i primi due motivi di ricorso, sottolineando come la comunicazione circa la variazione dell’indirizzo di reperibilità del lavoratore dovesse essere necessariamente inviata al datore anche in caso di congedo per malattia, permanendo in tale ipotesi la sottoposizione al potere direttivo e di controllo datoriale, essendo il rapporto di lavoro sì sospeso ma pur sempre esistente.
Nella sentenza, infatti, viene richiamato l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in caso di malattia il datore di lavoro può “procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e quindi a giustificare l’assenza, in difetto di una preclusione comportata dall’art. 5 L. 300/1970, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore (Cass. 26 novembre 2014, n. 25162; Cass. 21 settembre 2016, n. 18507; Cass. 17 giugno 2020, n. 11697).”.
Con la pronuncia in commento la Suprema Corte coglie l’occasione per ribadire gli ormai consolidati principi circa l’applicazione della tutela di cui al comma 4 dell’art. 18 della L. n. 300/1970, sottolineando inoltre come, durante il periodo di congedo per malattia, il rapporto di lavoro – pur sospeso – continui a dispiegare i propri effetti, con tutti i connessi obblighi connaturati al concetto di subordinazione, di cui quello di reperibilità costituisce una delle declinazioni.
Tale pronuncia sottolinea l’importanza delle verifiche e non solo di tipo sanitario al fine di documentare l’assenza della patologia e quindi l’eventuale infedeltà del dipendente. Il periodo di assenza per malattia deve mirare alla guarigione rapida del dipendente che comunque pur assente dal luogo di lavoro ha obblighi nei confronti dell’azienda datrice di lavoro e di conseguenza gli accertamenti per evidenziare eventuali ingiustificati assenteismi rappresenta un plus sempre molto efficace.