Licenziamento discriminatorio
Il licenziamento discriminatorio per la normativa vigente è illegittimo perché le motivazioni che lo innescano sono di per sé censurabili e non meritano la tutela.
Il licenziamento discriminatorio è disciplinato dall’art. 4 della legge 604/1966, dall’art. 3 della legge 108/1990 e dall’art.15 (Atti discriminatori ) dello statuto dei lavoratori (legge 300/1970).
Sono licenziamenti per motivi contrari ai diritti fondamentali dell’uomo, garantiti dalla Costituzione quali il diritto di pari dignità sociale e uguaglianza di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali.
Si evidenzia che non sono considerati motivi per il licenziamento discriminatorio: l’età anagrafica, le condizioni di salute psico-fisiche del lavoratore che non comportino il venire meno dei requisiti di idoneità alla prestazione lavorativa, così come anche le condizioni di salute di familiari e congiunti per i quali il lavoratore fruisce di permessi speciali (legge 104).
Il licenziamento discriminatorio può essere sia individuale, sia collettivo, nel caso ad esempio in cui un’azienda decida di chiudere e licenziare per motivi di ritorsione nei confronti dei lavoratori in ragione di agitazioni sindacali da essi proposte.
Cosa cambierebbe con la riforma del lavoro del 2012
Anche con la Riforma del Lavoro del 2012, le conseguenze del licenziamento discriminatorio previste dall’articolo 18 rimangono invariate: il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti che lavorano in azienda, deve reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e provvedere anche al risarcimento del danno (con un minimo di 5 mensilità di retribuzione). L’indennità deve essere commisurata all’ultima retribuzione globale di maturata dal lavoratore dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione. Inoltre al lavoratore devono anche essere versati i relativi contributi previdenziali e assistenziali.
Il lavoratore può anche chiedere al datore di lavoro, in alternativa al reintegro, la risoluzione del contratto lavorativo e il pagamento di un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione.
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