
Avv. Maria Chiara Zanconi
Studio Legale Penalisti Associati Zanconi & Zingari
Nel contesto economico e normativo attuale, fare impresa in modo responsabile e sostenibile rappresenta non solo un obbligo etico, ma anche una necessità per affrontare le sfide della transizione ecologica e del rispetto ambientale. La crescente attenzione verso i fattori ESG (Environmental, Social, Governance) e la lotta al greenwashing impongono alle imprese di adottare modelli organizzativi adeguati, tra cui il Modello 231 e il Sistema Gestione Ambientale (SGA), per prevenire rischi e illeciti che possano danneggiare l’ambiente e la reputazione aziendale e per orientare la gestione verso attività che generano valore non solo per gli azionisti, ma anche per gli stakeholder e la società nel suo complesso. Nell’attuale contesto d’impresa, il concetto di “valore” non si riduce al concetto tradizionale di massimizzazione del profitto, ma include anche il rapporto tra l’impresa e tutti i fattori umani, produttivi e sociali con i quali l’azienda interagisce.
Sebbene il Modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal d.lgs. 231/2001 abbia lo scopo normativamente previsto di prevenire la commissione di reati nell’interesse dell’ente da parte di soggetti organicamente inseriti nella società, lo stesso può rivestire un ruolo fondamentale anche per supportare le decisioni aziendali, in ottica di un sistema integrato rispetto ai diversi strumenti di compliance.
In termini di Governance, il modello 231 è uno strumento gestionale che, grazie alla tracciabilità dei processi e alla valutazione dei rischi e delle responsabilità, risponde pienamente alla necessità di creare strutture organizzative adeguate alla dimensione e complessità dell’azienda. Queste strutture non solo consentono di rilevare tempestivamente le crisi e garantire la continuità aziendale, ma favoriscono anche una corretta gestione dei rischi, al fine di assicurare la sostenibilità e lo sviluppo delle imprese.
Dunque, se lo scopo sociale è allargato anche al perseguimento di finalità di interesse generale e i rischi ESG acquisiscono crescente significato sotto il profilo operativo e strutturale nella realtà aziendale, allora l’adeguatezza degli assetti societari va ripensata anche in funzione dei protocolli posti a presidio della governance e del sistema dei controlli aziendali preposti alla sfera della sostenibilità, ai fini della valutazione e della mitigazione degli eventuali impatti dei fenomeni ESG sugli equilibri di carattere patrimoniale o economico/finanziario dell’azienda.
Allo stato, se, da un lato, si può parlare di rilevanza penale dell’ESG nella misura in cui determinati fattori legittimino l’impresa a godere di determinati benefici (ad esempio: fiscali, finanziari, ecc.), dall’altro, i temi ESG sono intimamente connessi con diverse tipologie di reato che possono essere commesse all’interno di un’impresa, comportando la responsabilità dell’organo amministrativo e/o dell’organo di controllo, oltre che, talvolta, della società stessa ai sensi del citato d.lgs. 231/2001.
Tali connessioni si manifestano in primis nelle forti affinità tra gli ambiti di interesse del Decreto 231 e gli «Obiettivi» previsti nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Il sistema di controllo interno implementato con il modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001, impattando su attività sensibili anche sul fronte ESG, può contribuire al perseguimento generale di molti degli obiettivi di sostenibilità.
Il rispetto delle normative inerenti alla reportistica di sostenibilità e la disclosure relativa ai fattori ESG possono dare vita ad alcune fattispecie su cui porre l’attenzione anche in relazione alla commissione di reati, molti dei quali presenti all’interno del catalogo 231, come ad esempio il rischio di false comunicazioni sociali rispetto alla Dichiarazione non finanziaria e la possibile rilevanza penale del c.d. greenwashing.
Un primo punto di contatto tra il d.lgs. 231/2001 e la normativa che regola la dichiarazione non finanziarie è dato dall’art. 3 del d.lgs. 254/2016 (in attuazione della Direttiva 95/2014) che impone che la Dichiarazione non Finanziaria (DNF) illustri, tra gli altri aspetti, il modello di gestione e organizzazione delle attività dell’impresa. Questo include i modelli di organizzazione e gestione adottati conformemente all’articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 231 del 8 giugno 2001, con particolare attenzione alla gestione dei temi trattati.
Un tema centrale nella mappatura dei rischi in ambito 231 e gestione delle informazioni in materia di sostenibilità è la possibile integrazione del reato presupposto di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. al cosiddetto report di sostenibilità che scaturirà dall’applicazione della nuova Direttiva CSRD in sostituzione della DNF. Ad oggi, in assenza di precedenti giurisprudenziali sul punto, secondo l’orientamento dominante non si ritiene possa configurarsi il reato di falso in bilancio rispetto alle informazioni incluse nella Dichiarazione non Finanziaria poiché non attinenti alla situazione economica, patrimoniale, finanziaria della Società, come richiesto dalla norma incriminatrice.
Con l’aumento della domanda e dell’offerta di prodotti finanziari legati a investimenti sostenibili è cresciuto, di pari passo, il rischio di affermazioni fuorvianti, lacunose, omissive sulle effettive caratteristiche di sostenibilità dei prodotti che può essere inquadrato nell’ambito del fenomeno del greenwashing.
L’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), ha definito il greenwashing come “una pratica in cui dichiarazioni, azioni o comunicazioni connesse alla sostenibilità non riflettono in maniera chiara e corretta il profilo di sostenibilità di un’organizzazione, un prodotto finanziario o servizi finanziari. Questa pratica può essere fuorviante per consumatori, investitori, o altri partecipanti al mercato”.
Sicuramente il rischio di greenwashing è percepito dagli investitori e dalle aziende come pratica che può seriamente minare la fiducia reciproca tra tutti gli stakeholders e che interessa le Autorità sotto il profilo dell’acquisizione di un vantaggio competitivo ingiustificato.
D’altronde il quadro normativo, in rapida evoluzione, rende difficile identificare univocamente un investimento sostenibile (e di conseguenza i casi di greenwashing) anche perché la tassonomia è attualmente disponibile solo per la dimensione “Enviromental” dell’acronimo ESG. Va in questa direzione la Direttiva (UE) 825/2024 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 febbraio che modifica le Direttive 29/2005/CE e 83/2011/UE, per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela e delle pratiche sleali e dell’informazione. In estrema sintesi, la Direttiva 825/2024 mira a proibire comunicazioni su temi ambientali che risultano generiche e ingannevoli e a vietare politiche commerciali tese a progettare un prodotto, programmando sin dall’origine una sua durata di vita limitata affinché giunga prematuramente a obsolescenza o, comunque, a essere inutilizzabile. La Direttiva dovrà essere recepita nei Paesi della Comunità Europea entro il marzo 2026 e dovrà ricevere piena operatività nel nostro Ordinamento entro settembre del medesimo anno.
Uno degli strumenti maggiormente utilizzati è rappresentato dal bilancio di sostenibilità, che può essere considerato come il giusto connubio tra bilancio sociale e bilancio ambientale e permette la rendicontazione degli impatti generati in considerazione delle tre voci ESG.
Tramite questo ulteriore strumento di compliance, l’azienda attiva un’autoanalisi al fine di individuare i propri punti di debolezza, scegliendo azioni correttive e comunicando verso l’esterno le strategie da attivare al fine di incrementare la creazione di valore: internamente rispetto alla semplificazione dei processi e una conseguente riduzione dei costi; esternamente rispetto alla possibilità di controllare gli impatti negativi in materia ambientale, sociale e di governance, instaurare un miglior rapporto con gli istituti di credito, attrarre potenziali investitori, godere di maggiore visibilità che permetta ai terzi di comprenderne i valori aziendali e organizzativi.
Nella redazione del bilancio di esercizio, tra i possibili presidi 231, la separata indicazione di dati relativi alla sostenibilità costituisce un possibile elemento da valutare anche attraverso lo scambio di flussi informativi con l’OdV al fine di evitare il verificarsi di rischi legati ai reati presupposto. Analogamente, attraverso il modello 231, è possibile attivare una verifica della pubblicità sostenibile utilizzata dall’azienda; in questo caso, particolare attenzione va prestata alla citata direttiva (UE) 2024/825 in merito all’adozione di condotte di greenwashing da parte di imprese e professionisti.
Una corretta e separata indicazione dei dati sostenibili all’interno di un bilancio d’esercizio, su voci di conto specifiche, consente di avere a disposizione tutti i dati economico-finanziari da indicare nei report ESG e nella relazione di gestione nella sezione dedicata alla sostenibilità, oltre alle altre informazioni previste dalla normativa.
Le aziende dovranno gestire con cautela i dati utilizzati ai fini dell’attribuzione dei rating ESG per non incorrere in pratiche scorrette ed eventuali sanzioni, anche ai fini della responsabilità amministrativa degli enti. Si pensi ai dati inseriti nella relazione sulla gestione per quanto riguarda gli aspetti relativi alla sostenibilità, o ancora ai potenziali reati contro l’industria e il commercio di cui all’art. 25-bis.1 (con particolare riferimento agli artt. 517 e 517-quater c.p.) che, in quanto informazioni che portano a una valutazione elevata soprattutto in materia ambientale e sociale, potrebbero trarre in inganno i consumatori.
In tal senso, pur essendo uno strumento di governo dei processi orientato alla riduzione dei rischi di commissione dei reati presupposto, il modello 231 ben si presta a essere utilizzato come sistema di governo consapevole delle aziende in “chiave ESG” in grado non solo di migliorare l’organizzazione dell’ente e aumentarne l’affidabilità in termini di prevenzione del rischio-reato, ma di integrare i diversi sistemi di gestione aziendale, riconducendo ad una logica unitaria i processi che spesso vengono gestiti sulla base di norme differenti e di procedure e regolamenti interni non coordinati in quanto redatti da diverse funzioni aziendali.
Di conseguenza, nell’ambito del risk assessment 231, andrebbero valutate le matrici di rischio comune considerando sia la possibile violazione delle norme di legge che l’eventuale impatto negativo sugli stakeholder causato da comportamenti e decisioni dell’ente. In tal modo, il modello verrebbe strutturato sin dall’inizio con la doppia finalità di prevenire i rischi 231 e, al contempo, conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile che l’ente si è prefissato in materia di sostenibilità.
Per le aziende che intendono conformarsi alle normative ambientali vigenti il Sistema di Gestione Ambientale (SGA) certificato secondo norme come il Regolamento EMAS o lo standard UNI EN ISO 14001 rappresenta un pilastro fondamentale, soprattutto se concepito e attuato in ottica integrata con le previsioni del Modello 231.
L’efficacia di un SGA non si limita a garantire la conformità normativa; esso è strutturalmente progettato per sostenere attivamente la gestione ambientale operativa dell’organizzazione. Ciò significa che un SGA ben implementato può rispondere in modo significativo alle richieste del Modello 231, facilitando l’identificazione e il miglioramento degli aspetti ambientali significativi attraverso un’analisi ambientale approfondita.
Questa analisi non solo valuta il livello di conformità con le norme, ma anche identifica i margini di miglioramento delle performance ambientali e stabilisce una base solida per un efficace assetto di responsabilità, ruoli, e competenze. Tutto ciò contribuisce a una gestione del rischio più strutturata e orientata alla prevenzione dei reati, in linea con il concetto di “segregazione” delle attività di gestione degli aspetti ambientali rischiosi, una prassi tipica del Modello organizzativo 231.
Al cuore di questa struttura organizzativa vi è la Politica Ambientale, che deve essere in armonia con i principi generali del Codice Etico aziendale e riflettere gli impegni della direzione verso il rispetto della normativa e il miglioramento continuo. Questo documento è essenziale per comunicare sia all’interno che all’esterno dell’azienda gli impegni ambientali adottati. Tuttavia, la Politica Ambientale necessita di essere periodicamente rivista e potenziata per assicurare che rimanga attuale e efficace, trasformandola da un semplice insieme di valori e principi a un documento prescrittivo che definisca comportamenti specifici per i vari livelli organizzativi.
Parallelamente, il Programma Ambientale svolge un ruolo cruciale nel gestire le risorse finanziarie assegnate alla gestione ambientale. È vitale che questo programma sia integrato nei processi di budgeting dell’azienda per garantire una corrispondenza chiara tra le risorse assegnate e le responsabilità definite. Inoltre, ogni investimento proposto deve essere valutato per la sua fattibilità economica e sostenibilità, garantendo che gli impegni finanziari siano gestiti con rigore e che ci sia una verifica periodica dello stato di avanzamento e della spesa.
In questa configurazione organizzativa, il controllo operativo assume un ruolo determinante nella prevenzione dei reati. Per essere efficace, deve includere la pianificazione di corrette modalità di lavoro, l’aggiornamento continuo delle procedure, e una comunicazione chiara dei requisiti ambientali ai fornitori e agli appaltatori. Questo approccio precauzionale, tipico del Modello 231, si estende anche alla gestione dei fornitori, garantendo che questi ultimi rispettino gli standard ambientali attraverso una serie di misure come la qualifica periodica, l’adozione di regole contrattuali specifiche, e la verifica della conformità.
L’Organismo di Vigilanza gioca un ruolo essenziale nel monitoraggio dell’efficacia del SGA che potrà esercitare un controllo effettivo sull’osservanza delle previsioni e un monitoraggio efficace sulla base dei flussi informativi relativi alle valutazioni di performance, aggiornamenti di politica, e risultati degli audit, fornendo così una base solida per un monitoraggio efficace e per la pianificazione futura.
In conclusione, la stretta interazione tra il SGA e il Modello 231 non solo rafforza la governance ambientale all’interno delle aziende, ma promuove anche una cultura aziendale che valorizza la sostenibilità come elemento chiave della strategia complessiva. Questa integrazione supporta le aziende nell’essere resilienti di fronte ai cambiamenti normativi e di mercato, migliorando contemporaneamente la loro capacità di gestire efficacemente i rischi ambientali e di operare in modo responsabile.