Avv. Antonio Bana
Partner Bana Avvocati Associati
La recente entrata in vigore della Legge n. 206/2023 segna un passo significativo nella tutela del Made in Italy introducendo misure incisive contro la contraffazione rafforzando la responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/01.
La normativa estende l’ambito applicativo dell’art. 517 c.p. (ricompreso nell’art. 25-bis 1 del D.Lgs. 231/01) punendo anche la mera detenzione per la vendita di prodotti con segni mendaci, ampliando così il novero dei soggetti esposti a rischio reato.
Questa modifica normativa comporta la revisione obbligatoria dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo (MOGC) previsti dal D.Lgs. 231/01.
Gli enti sono chiamati a valutare le proprie aree di rischio, aggiornando protocolli e procedure per prevenire la commissione dei reati ora più ampiamente definiti.
In particolare, si richiede un’attenzione specifica verso le fasi di sviluppo, produzione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti, nonché l’uso di marchi e certificazioni, come la marcatura CE.
La Legge n. 206/2023 regolamenta la distruzione delle merci sequestrate e introduce nuove disposizioni per la gestione delle stesse da parte dell’Autorità Giudiziaria. Questo aspetto incide direttamente sulla gestione dei sequestri e sulla successiva distruzione delle merci contraffatte, con implicazioni pratiche per le aziende coinvolte.
L’aggiornamento del Modello 231 diventa un passaggio ineludibile per gli enti, che devono ora integrare nuove misure compliance per mitigare i rischi di responsabilità amministrativa.
L’adozione di un sistema di controllo efficace, infatti, non solo consente di evitare sanzioni, ma si traduce anche in un miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia aziendale, a tutela del prestigioso marchio Made in Italy.
Negli ultimi tempi l’Intelligenza Artificiale sembra essere l’ultimo trend della fashion industry: tutti i giganti della vendita al dettaglio hanno adottato un approccio algoritmico alla moda e tra app che forniscono feedback o consigli sui propri outfit e camerini interattivi con specchi che riconoscono gli abiti indossati e ne suggeriscono altri da abbinare in base a stile, colore e umore, stanno portando avanti nuove tendenze.
In questa nuova realtà, un ruolo fondamentale viene sicuramente ricoperto dai dati raccolti tramite i siti web, le applicazioni online e i social network, che consentono ai brand di comprendere quali sono i capi di abbigliamento più in voga e predire le nuove tendenze.
Il carburante della fashion industry può, infatti, rinvenirsi proprio nell’utilizzo dei cosiddetti big data e dei sistemi di Al predittivi. Quando l’Al è integrata sulle proprietà digitali, i brand sono infatti in grado di profilare i propri clienti e utenti al fine di capire i loro interessi e loro preferenze, creare campagne di marketing mirate e proporre un servizio personalizzato sulla base delle loro esigenze. Proprio per tale ragione, i brand sono tenuti ad adottare specifiche cautele quando intendono utilizzare i meccanismi di tracciamento sugli utenti. Sul punto è intervenuto anche il Garante per la protezione dei dati personali che, con le sue Linee Guida sui cookie e gli altri strumenti di tracciamento, ha ribadito le circostanze in cui l’installazione e utilizzo dei cookie (o di altri strumenti di tracciamento) può avvenire sul terminale degli utenti e le regole per l’analisi dei dati raccolti tramite tali tecnologie. In particolare, per poter lecitamente installare cookie o altre tecnologie di tracciamento, i brand che operano online devono:
- Informare gli utenti con un’informativa breve (c.d. cookie banner) che rimandi ad una informativa estesa (c.d. Cookie Policy) che delinei le finalità e modalità di trattamento dei dati raccolti tramite tali tecnologie;
- Raccogliere uno specifico consenso, ossia una dichiarazione positiva da parte dell’utente che consapevolmente acconsente all’installazione dei cookie.
Alla luce dell’idea secondo cui si dovrebbe puntare allo sviluppo di tecnologie affidabili sotto il profilo sia etico che morale, tali da costituire uno strumento utile alla società e commisurato alle esigenze umane, è interessante notare come “avatar” e “sistemi di Al” possano essere legati a forme di «abuso» dell’immagine, come nel caso dei deepfake, che potrebbe rivelare aspetti decisamente più gravi in termini di violazione dei diritti della personalità, quali possibili danni all’immagine, alla reputazione e all’identità digitale della persona, diffusione non consensuale di immagini private, potenziali rischi di attacchi tipo phishing, vishing, furto d’identità e violazioni di misure di sicurezza basate sul riconoscimento biometrico.
In tale contesto, risulta dunque essenziale che i sistemi utilizzati siano cyber resilient, nonché emerge l’importanza di adottare schemi di risposta agli incidenti in grado di rimediare agli impatti negativi sul business e proteggere la reputazione dell’influencer virtuale così come quella del brand, anche predisponendo un remediation plan post-attacco che possa attenuare i possibili risvolti in termini di richieste di risarcimento o altre forme di responsabilità.
La brand protection diventa essenziale, infatti, abbraccia diversi aspetti della tutela del marchio e della sua reputazione.
Dopo la registrazione è altrettanto importante monitorare costantemente lo scenario online e offline e individuare eventuali violazioni. La ricerca può essere fatta su siti web, social media e marketplace online oppure tramite l’utilizzo di software di monitoraggio automatizzato. Oltre all’attività di monitoraggio è anche importante «educare» i propri acquirenti sulla possibile contraffazione dei prodotti che acquistano e sui rischi associati all’acquisto di prodotti contraffatti.
Un altro aspetto importante è la protezione del sito web e dei social media da eventuali attacchi informatici. Questo può essere fatto attraverso l’adozione di misure di sicurezza, con l’aggiornamento costante dei software e l’adozione di procedure per la gestione delle violazioni a livello aziendale.
Un’azienda che è presente anche online con un proprio e-commerce o sito web potrebbe investire nell’acquisto delle parole chiave legate al proprio marchio, le c.d. branded keywords.
Da ultimo una recente sentenza della suprema corte di cassazione motiva in modo molto puntuale la tutela penale dei marchi, dei segni distintivi, dei brevetti, dei modelli e dei disegni industriali precisando che: ”Premesso, infatti, che, mentre l’art. 473 c.p. prevede la punibilità della contraffazione tanto dei marchi e “segni distintivi”, quanto di “brevetti”, “modelli” e “disegni industriali”, l’art. 474 c.p., invece, menziona solo i primi due istituti e” quindi, le ipotesi di cui all’art. 473 c.p., comma 1.
Secondo l’esegesi di questa Corte, il dato distintivo tra tali due fattispecie di reato e quella di cui all’art. 517 ter c.p. – qui rilevante – viene solitamente individuato nella potenzialità ingannatoria dei consumatori del marchio o del segno distintivo che, se contraffatto, determina la configurabilità del più grave reato di cui all’art. 474 c.p. Infatti, ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p., posti a tutela del bene giuridico della fede pubblica, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento (Sez. 5, n. 10193 del 09/03/2006 Rv. 234241), a differenza del reato previsto dall’art. 517 ter c.p., che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale, il quale ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne è titolare (Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016 (dep. 2017) Rv. 269751 – In applicazione di questo criterio discretivo la S.C. ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva escluso il reato di cui all’art. 474 c.p., non sussistendo la contraffazione del marchio, riconoscendo però l’integrazione del reato previsto dall’art. 517 ter c.p. per l’indebito sfruttamento di un segno distintivo altrui mediante la riproduzione, in modo parassitario, dei connotati essenziali”.