Con la sentenza indicata la Corte di Cassazione ha ritenuto che i file sono riconducibili al concetto di cosa mobile, oggetto di appropriazione indebita. L’imputato, al momento delle dimissioni dall’azienda per la quale lavorava, aveva copiato i dati presenti sul notebook aziendale, a lui affidato nel corso del rapporto di lavoro, sul proprio personal computer, successivamente cancellando dal notebook i file all’interno dei quali i dati erano originariamente contenuti.
La Corte d’Appello lo aveva ritenuto responsabile di appropriazione indebita (646 c.p.), mentre lo aveva assolto in ordine al delitto di cui all’art. 635 quater c.p. (danneggiamento di sistemi informatici o telematici), in quanto, mancando la prova del contenuto dei dati, dei programmi e delle informazioni, era impossibile affermare che la loro cancellazione avesse danneggiato il sistema informatico. La Corte di cassazione rigetta il ricorso dell’imputato e conferma la condanna per il reato di cui all’art. 646 c.p., ritenendo che i file sono riconducibili al concetto di “cosa mobile” oggetto di appropriazione indebita.
COMMENTO
a cura di Marilena Guglielmetti – Investigatore Criminologo
Una sentenza molto interessante che sottolinea il concetto di file quale cosa mobile e quindi il suo improprio impossessamento provato diventa un reato.